giovedì 23 giugno 2016

Omaggio fattuale alla Società Artisti e Operai di Cuneo



In memoria di mio
nonno geom. Antonio Sartoris


La SOCIETÀ come dice l’art.2 del Regolamento approvato il 29 Maggio 1851 è composta “essenzialmente di Operai, i quali sono tutti cittadini prestanti la loro opera giornaliera ad un esercente professione, arte o mestiere, si come gli esercenti professione, arte o mestiere in qualità di capi, purché non siano in grado di dar lavoro a più di cinque persone consecutivamente, e non paghino censo o taglia annua eccedente le lire otto. I soli operai sono membri effettivi della società, hanno voto deliberativo nelle adunanze sociali, e possono far parte della Direzione”.
Ma la casa non c’era ancora. Come “Palazzo delle istituzioni popolari” era un antico sogno del Municipio e fu realizzato dalla Cassa di Risparmio di Cuneo su progetto donato dal quarantaduenne geom. Antonio Sartoris[1] che, sempre gratuitamente, diresse i lavori di esecuzione con straordinaria celerità, in soli nove mesi. E lì ebbe sede insieme all’Istituto delle Cucine Economiche, fino all’esproprio fascista del 1927, la ormai consolidata “Società Artisti ed Operai di Cuneo”.
Per l’inaugurazione ci fu grande discussione. Dal dott. Serafino Arnaud[2] (il medico dei poveri), socialista, era stato proposto l’intervento addirittura di Carlo Marx[3]: “troppe spese non ci possiamo permettere di farlo venire da Londra” rispose l’assemblea dei soci. “Facciamo venire Garibaldi” propose l’avv. Nicolò Vineis[4], il direttore de “La Sentinella delle Alpi”: “l’eroe nazionale che ha riunito l’Italia”. “Ma è un mangiapreti: lo sapete cosa ha scritto alla Società operaia di Asti? ve lo leggo,” disse Don Stoppa il direttore del settimanale cattolico “Lo Stendardo”: “Apprezzo assai l’onore conferitomi da cotesta società ad acclamarmi suo socio. Le società operaie molto hanno giovato all’Italia, moltissimo devono giovare per l’avvenire; il lavoro è virtù; il lavoro è libertà; benedetti coloro che lavorano! Mi rincresce che la mia salute non mi permetta di trovarmi in mezzo a voi per l’inaugurazione del monumento a Vittorio Alfieri. Siate superbi di un si grande concittadino. Ricordate che egli ha insegnato agli italiani: Di non fidare sugli stranieri quando si tratti della salute della patria. Essere il pontificato il maggior nemico d’Italia. Potere solo la libertà fare grande e florido un popolo G.GARIBALDI” .
Va bene così: decise a maggioranza l’Assemblea degli operai, e Garibaldi venne all’inaugurazione e parlò:
Cari amici,
non sono nato alle pubbliche assemblee; ma se v’è radunanza alla quale ami trovarmi, è quella degli operai. In mezzo a questi semplici cuori, io mi sento in famiglia. Quando i vostri rappresentanti si sono presentati a me nella solitudine della mia Caprera per offrirmi un cenno di simpatia a nome del ceto robusto e laborioso del popolo di Cuneo, evento più grato al mio cuore non poteva aspettarmi, perch’io conto sempre sull’incallita destra degli uomini della mia condizione, per la redenzione sacrosanta di questa terra, e non sulle fallaci promesse dei raggiratori politici. Se volete un mio consiglio, eccovelo: lasciate le vane questioni di parole; ma pensate che l’uomo non si dimezza, e che tutti, senza eccezione, abbiamo gli stessi doveri verso di noi, verso la Patria e verso l’Umanità. Siamo tutti operai della giustizia. Ma sappiatelo, essa non trionfa se l’uomo non è libero, in terra libera. Lavoro, patria, libertà: ecco il programma vostro, operai, e di tutti gli uomini che non credono, creato il mondo, per satollare la loro ingordigia e la loro ambizione.
La Vostra società operaia come tutte le tante società che mi hanno chiesto di divenirne membro onorario, hanno come scopo primario quello di soccorrere i soci infermi o bisognosi. Per soccorrersi reciprocamente e d’un modo efficace conviene avere i mezzi. Di più del mutuo soccorso le società operaie devono occuparsi di politica, cioè procurare col tempo di avere un buon governo.
Qualche giorno fa ho dovuto rivolgermi ai vostri compagni operai di Napoli. Ho dovuto riconoscere che pur avendo coscienza di non aver fatto male a liberare quelle contrade con il programma Italia e Vittorio Emanuele non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale temendo di esservi preso a sassate da popoli che mi tengono complice della disprezzevole genia che disgraziatamente regge l’Italia e che semina l’odio e lo squallore dove noi avevamo gettato le fondamenta di un avvenire italiano sognato dai buoni di tutte le generazioni, e miracolosamente iniziato. Ma tuttavia alla depressione è giocoforza apporre l’educazione, perché è l’educazione che scioglierà il gran problema che si agita nel nostro secolo, l’emancipazione. Essa, l’educazione, ai prepotenti della terra, in coccola o senza, dirà col Giusti: “Cessi il mercato reo, cessi la frode”. E sì in politica come in religione volendo davvero il popolo la mercé, l’educazione, che è il frutto dell’associazione, cesseranno una volta per sempre l’uno e l’altra dal martoriare l’Umanità, la quale camminerà tranquilla verso la sua meta di perfezionamento progressivo, morale e materiale a cui è destinata.
Ed ora prima di stringervi con affetto l’incallita destra, un invito che mi sta molto a cuore.
Ho letto nelle Vostre carte statutarie che lo spirito dei fondatori della Vostra società operaia può sintetizzarsi in queste poche significative righe “in qualunque luogo si raduna il popolo per soccorrersi a vicenda con amor fraterno, dovunque egli conviene per perfezionarsi trattando dei suoi interessi e dell’avvenire dei suoi figli, ivi regna la legge di amore e domina lo spirito del Vangelo”.
Condivido pienamente questi principi perché Cristo gettò le basi dell’uguaglianza tra gli uomini e tra i popoli e noi dobbiamo essere buoni cristiani. Ma noi faremmo un sacrilegio se durassimo nella religione dei preti di Roma: essi sono la sciagura d’Italia e specie tutti del più feroce dei nostri nemici, a cui solamente dobbiamo la nostra miseria, ma la nostra umiliazione e la condizione del nostro popolo…
Non lo lasciarono finire. Un boato si sollevò dal lato destro dell’assemblea: là Don Stoppa aveva raccolto i suoi “fedeli”. Profondendosi in scuse all’insigne ospite, peraltro per nulla turbato, il Consiglio direttivo della Società gli consegnò l’obolo di 20 lire (sic!) da destinare “ai fratelli siciliani che con inauditi sacrifici e sforzi combattono i loro oppressori onde ricuperare anch’essi l’indipendenza”.
Naturalmente la polemica continuò nei giorni successivi tanto che si volle impedire l’ingresso all’inevitabile messa in Cattedrale del labaro della Società, quello della fondazione del 1851 che, per i benpensanti, odorava chiaramente di massoneria.
E così continuò, la vita “politica” della Società degli Artisti ed Operai, con l’inevitabile propensione dei cuneesi (e degli italiani in genere) al compromesso. Scrive Alessandra Demichelis[5] “In realtà la pretesa apoliticità fu più apparente che reale. I rapporti stretti con abilità diplomatica con le autorità municipali e religiose, le vere e proprie battaglie in favore dei diritti delle classi lavoratrici, il sostegno esplicito e continuato ai deputati locali al Parlamento, sono la dimostrazione di come la Società non potesse e non volesse estraniarsi a rimanere passiva di fronte ad eventi e problemi che toccavano gli interessi dei ceti più deboli”.
Tutto però con la prudenza tipicamente cuneese e che mi piace riconoscere nella sottile ironia del “Galucio caparucio” del poeta Nino Costa[6]:
“An sla punta del cioché/ j’è un galucio,/ caparucio,/ fait ed tola piturà:/ tuta quanta la giornà/ chiel a gira,/ chiel as vira/ da la part che’l vent a tira/… Col galucio fait ed tola/ l’è pa tant na bestia fòla:/ chiel a sà/ che a lé sempre bin piassà/ col ch’as vira/ da la part che ‘l vent a tira,/ e, guardand da so ciochè,/ chiel a ved sel marciapé/ tanta gent , pien-a ‘da babìa,/ ch’a jé smija,/ che veul nen ch’a sia dla dita/ ma ‘nt la vita/ -gira ‘d sa, gira dlà– l’ha l’istessa teoria/ del galucio piturà.”[7]
Alla Società Artisti ed Operai di Cuneo, variopinto spaccato della vita cittadina, vada, in occasione del 160° anniversario di fondazione, il mio augurio di nostalgico progressista: EXCELSIOR.


[1] Geom. Antonio Sartoris (1863 †1939) diplomato all’Istituto Bonelli, si possono ricordare -fra le molte- le seguenti opere: il progetto per il riordinamento ed il riattamento del pianterreno e secondo piano dell’Ospedale vecchio di Santa Croce di Cuneo; l’edificazione della palazzina Girardi (o Caserma dei Reali Carabinieri 1899 oggi in c.so IV novembre di Cuneo); l’ingrandimento e la nuova facciata della parrocchiale di Salmour (1902-1905-07), la ridecorazione dei prospetti esterni del palazzo marchionale di Centallo (1909-10). A Cuneo il Sartoris si occupa della ristrutturazione e della sopraelevazione del Palazzo Fresia (1903), della costruzione di casa Feltrami (1904), del palazzo per Cucine Economiche e Società Artisti ed Operai di Cuneo (1905); della demolita palazzina Ghio (1913), del palazzo Forze Idrauliche “altro Po” (1924), del progetto di Tettoia nel cortile e del terrazzo superiore del Cinema Moderno, poi Corso (1925), del progetto dell’interno del demolito Cinema Italia, dell’edificazione del Palazzo Beltrami di c.so Nizza 5/7/11 (1925), del Palazzo “Casa Nostra” di c.so Nizza 36, del Palazzo sociale di c.so Nizza 14, di Casa Ricchiardi (1901) in c.so Soleri 3. Il geom. Antonio Sartoris partecipò pure alla vita politica cuneese: fece parte della Giunta comunale presieduta dal Sindaco Luigi Moschetti nel 1907, e nel 1912 nelle elezioni generali che portarono la lista democratica all’elezione a Sindaco dell’avv. Marcello Soleri (futuro Ministro del Tesoro del Dopoguerra 1945) risultò il candidato più votato (1.101 preferenze) contro le 975 di Soleri. 
[2] Serafino Arnaud (1875 †1922) medico e psichiatra insigne, del popolo amico vero e benefattore.
[3] Karl Marx (Treviri 1818 †Londra 1883) Scrisse nel 1848 in collaborazione con l’amico Engels il “Manifesto del partito comunista”.
[4] Nicolò Vineis (Asti 1819 †Cuneo 1890) per 37 anni direttore de “La Sentinella delle Alpi” quotidiano redatto e stampato in Cuneo presso la tipografia di Bartolomeo Galimberti, della famiglia dell’eroe nazionale Duccio.
[5] Alessandra Demichelis “Società Artisti ed Operai – Cuneo 1851-2001” Edizioni Aut Aut – Cuneo pag.116.
[6] Nino Costa poeta piemontese (Torino 1886 †1945)
[7] Trad.: “sulla punta del campanile/ c’è un galletto/ con la cresta/ fatto di latta dipinta: durante tutta la giornata/ lui gira di qua/ gira di là/ dalla parte che soffia il vento./… Qual galletto fatto di latta/ non è poi mica una bestia stupida:/ lui sa che è sempre ben piazzato/ chi si gira dalla parte che il vento tira,/ e, guardando dall’alto del suo campanile/ lui vede sul marciapiede/ tanta gente, piena di prosopopea/ che fa come lui/ che non vuol che sia detto/ ma che nella vita/ -gira di qua, gira di là– ha lo stesso comportamento del galletto dipinto”.

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