Nella grande casa di C.so Nizza, erano sei mesi che la signora Adele,
era rimasta sola con la sua bambina, Maby’. Suo marito il geom. Guido era a
casa quella sera maledetta, nonostante gli amici gliel’avessero detto e
ripetuto di andare via da Cuneo. Si sentirono alla porta i colpi dei calci di fucile
dei tedeschi. Aprì il figlio Alberto: aveva solo 16 anni ma ne dimostrava di
più. Il padre si affacciò dalla porta della cucina e li portarono via tutti e
due senza dire una parola. La moglie rimase sola con la bambina che dormiva.
Si era battuta in tutti i modi andando anche a parlare
dal capitano delle SS all’Hotel Nazionale di Torino, con un’ampia scollatura.
Gli amici cuneesi si erano rivolti al Prefetto ma pare che abbia
detto loro che: “la signora si consolerà presto...”.
Sta di fatto che con lo studio del geometra già con pochissimo
lavoro, dato lo stato di guerra, ed ora, senza il titolare, forzatamente
chiuso, la famiglia si era trovata priva di mezzi.
Adele, una delle più belle donne di Cuneo, intelligente e
colta, ma priva di qualsiasi professionalità, fece quindi girare la voce di
esser disposta a tenere a pensione donne od uomini che fossero.
Un giorno un giovanotto mingherlino, nell’aspetto e nel vestito, si
presentò alla sua porta: sono il prof. Luigi Baccolo, insegno lettere al Liceo
Silvio Pellico.
La camera di Alberto era ampia, si affacciava sul corso Nizza, andava
proprio bene al prof. Baccolo ed la signora Adele lo accolse ben volentieri
quando a lui, nella presentazione, scappò detto di aver scritto un libro su
Luigi Pirandello. Lei l’aveva letto quasi tutto Pirandello: i romanzi, le
novelle e del teatro aveva visto recitazioni al “Toselli” di Cuneo, con la
Marta Abba e Ruggero Ruggeri.
Ad Adele la sola idea di avere in casa un vero
intellettuale (uno specialista di Pirandello poi) la infiammava di entusiasmo.
Al prof. Baccolo la sorte di abitare nella bella casa di una bella
signora era subito piaciuta.
La sera stessa Baccolo sedeva a tavola con la signora
Adele ed incominciarono subito a parlare di libri.
Una sera dopo l’altra: erano i tempi della guerra del 1940. Nelle
case non vi erano televisori e fuori c’era poca luce. Si stava bene a leggere o
conversare, magari dopo aver ascoltato un concerto od un’opera alla radio o sul
giradischi, e con il caminetto acceso.
Baccolo di libri ne aveva tanti e li imprestava in
lettura alla signora Adele con dediche interessate. In quella del
“Decameroncino del cacciatorpediniere “Enea”[1] di
Guido Milanese (ediz. Alberto Stock – anno 1926) sta scritto: “In casa - 10 dic. 1944. Chissà? L.B.”.
Ah, se i libri potessero parlare!
Baccolo era un timido ed un introverso, i suoi interessi
erano quelli di un giovane normale ma anche di un intellettuale ambizioso,
sopratutto ambiva a diventare uno scrittore di successo. Veniva a Cuneo da
un’esperienza ancora più provinciale: quella di Savigliano. Qui aveva
convissuto con la madre fino alla fine della sua vita. Luigi Botta un caro
amico di quel tempo scrivendo in Sua memoria racconta: “Ricordo più che mai quell'Anglia bianca parcheggiata in corso Caduti per
la Libertà. Ogni pomeriggio, con qualsiasi tempo, uscivi dalla portina di corso
Roma dove abitavi, accompagnando Tua madre sotto braccio. Insieme, in auto,
percorrevate Savigliano per un'oretta. È stato così per anni. Questa Tua
immagine, di figlio generoso e fedele che rimane legato alla madre sino alla
morte, mi rimane fissa nella mente. E sono certo che non sfuggirà tanto
facilmente, come rimarrà impressa in tutti coloro che, estate ed inverno, Ti
hanno visto compiere con amore sempre i medesimi, ma significativi, gesti”. .
Tutta questa vita da figlio devoto e sottomesso nella
tranquilla, grigia, provincia; questo fare viaggi in macchina intorno a Piazza
del Popolo e vie circostanti di Savigliano e pur quel vedere di gioventù
esuberante nelle strade e nella sua scuola, e non toccarla, mi fa pensare alle
sue avventure letterarie specie quelle intrise di sesso. Da qui gli
approfonditi studi sul marchese Donatien-Alphonse-Francois Sade, un diavolo francese che sfugge alle conseguenze delle sue sregolatezze
ma poi finisce la vita nel manicomio di Charenton. E poi la “Vita di Casanova”
e poi, come scritto in copertina “Restif de la Bretone – Virtù, follie e nefandezze del più provocatorio fra gli scrittori del
‘700: contadino e grafomane. Moralista e cultore dell’oscenità, avventuriero e
visionario.”
Con i personaggi dei suoi libri Baccolo si trovava bene e
probabilmente viveva a Cuneo come il conte di Grammont
che due secoli prima viveva a Torino e la proclamava "città dell'amore e
della galanteria", trovandoci la condizione ideale per ogni libertino, con
quei "mariti che avevan molto rispetto per le loro donne e considerazione
per i forestieri", e quelle "mogli che avevan molto rispetto per i
forestieri, e un po' meno per i loro mariti".
Ma non era un passionale né un libertino: semplicemente
con i suoi romanzi si stava costruendo in tempi e luoghi diversi, un suo
universo in cui si rifugiava il più frequentemente possibile. Talora anche
quando insegnava, si fermava di botto evidentemente dinanzi ad un pensiero che
gli era balzato incontro parlando di un autore od ascoltando la
domanda/risposta di un allievo. Ma sempre senza passione per non affaticarsi
troppo. Era sostanzialmente un sognatore… pigro, come il suo amico Ugo Genta o
il suo collega prof. Corrado Mongardi. Il suo collega nello stesso glorioso
Liceo Classico Silvio Pellico di Cuneo, il prof. Umberto Boella diceva di lui
che aveva “una natia tendenza a considerare la vita, tutta la vicenda umana con
un senso di sorridente amabile scetticismo”.
La provincia è ricca di questi intellettuali, colti,
capaci, che conoscono il mondo attraverso i libri ed anche i viaggi, ma pigri e
guai se tengono famiglia. Alla loro naturale pigrizia si aggiunge la cautela
delle mogli (o compagne) a non rischiare, a non lasciare la certezza dell’oggi
per l’incertezza del domani.
E fatale che in queste
situazioni sopraggiunga la frustrazione per una vita che si sente sfuggire,
senza che ideali od ambizioni siano stati raggiunti.
Ma vi fu un momento in cui
d’improvviso la sua anima si mise a crepitare e a levar fiamme. Fu alla fine
della guerra quando finalmente si respirò l’aria della libertà. Scrisse, come
il collega Umberto Boella, importanti pagine civili su la rinata “Sentinella
delle Alpi”, su “Il Mondo” di Pannunzio, su la rinata “La Stampa” di Torino:
partecipò alla vita intellettuale collettiva di Cuneo.
Intanto Alberto era tornato a casa, reduce da Buchenwald,
magro come uno scheletro, ma vivo, mentre di suo padre il geom. Guido non si
seppe mai più nulla. Luigi Baccolo si congedò dalla signora Adele
ma il cenacolo intellettuale che si era realizzato nella sua casa continuò
nella “Libreria Moderna” che, proprio per dare un lavoro ad Alberto, la signora
Adele aprì nel centrale c.so Nizza angolo via Cavallotti.
Qui si
incontravano gli azionisti di Cuneo, con gli azionisti di Torino:
l’aristocratico prof. Franco Antonicelli ed il mitico prof. Augusto Monti, il
maestro di Piero Gobetti, di Norberto Bobbio, di Alessandro Galante Garrone, di
Cesare Pavese. Fu in quella libreria che fu presentato a Cuneo “Se questo è un
uomo” di Primo Levi, edito da De Silva perché rifiutato da Einaudi.
E c’erano il prof. Luigi Baccolo, il prof. Leonardo
Ferrero, il prof. Umberto Boella, il prof. Luigi Pareyson, (ormai assurto alla
cattedra universitaria), il prof. Corrado Mongardi, il prof. Carlo Baccalario,
il prof. Adolfo Ruata, lo scrittore Nuto Revelli, i giudici Gino Bissoni, Luigi
Di Oreste e Antonino Repaci, gli avv.ti Faustino Dalmazzo, Dino Giacosa e
Marcello Bianco e il giovane suo cugino Antonio Sartoris, e molti altri.
Andato in pensione e libero da legami cuneesi, Luigi
Baccolo fece un ultimo lungo viaggio: andò a trovare Luigi Pirandello nella sua
casa in località Caos di Girgenti. Su Pirandello Baccolo aveva scritto la sua
tesi di laurea poi pubblicata nel 1949 dalla prestigiosa casa Fratelli Bocca
editori.
Da quel viaggio ritornò appagato. Pubblicò “la Vita di Casanova” dall’editore
Rusconi nel 1974 e “Casanova ed i suoi
amici” dall’editore Sugar nel 1972. Divenne amico di Piero Chiara
condividendo con lui un’accattivante visione della vita di
provincia con le sue piccolezze ma capace di cogliere, anche nel più normale
quotidiano, l'essenza, ormai dimenticata, di una vita
serena, senza grandi problemi. Chiara ne scrisse in vari romanzi di grande
successo. Ma Chiara fu anche uno dei più noti
studiosi della vita e delle opere dello scrittore e avventuriero Giacomo Casanova. Pubblicò
molti scritti sull'argomento che raccolse poi nel libro “Il vero Casanova” (1977). Curò, per
Mondadori, la prima edizione integrale, basata sul manoscritto originale,
dell'opera autobiografica del Casanova: Histoire
de ma vie. Scrisse anche la sceneggiatura dell'edizione televisiva (1980) dell'opera di Arthur Schnitzler Il ritorno di Casanova.
Questa passione per Casanova che Baccolo e Chiara avevano
in comune derivava probabilmente dall’esperienza di entrambi della vita di
provincia dove le cose si fanno ma non si dicono se non molto ma molto
sottovoce. Rivedo le sottili labbra di Baccolo increspate dal sorriso quando
Chiara raccontava che da Lecco aveva dovuto rifugiarsi in Svizzera per sfuggire
all’ordine di cattura emesso dal Tribunale
Speciale Fascista per aver messo, il 25 luglio 1943 alla caduta del
Fascismo, il busto di Mussolini nella gabbia degli imputati del tribunale in
cui lavorava come cancelliere.
Luigi Baccolo con i suoi Casanova, Sade, Restif de la
Bretone e Vittorio Alfieri pur a Cuneo e nel Novecento, viveva bene come in
Europa e nel Settecento. Fu quello che in quel secolo si diceva “filosofo” cioè cultore della ragione e nemico delle chimere.
Di quel viaggio nel Caos e
di che cosa si sono detti i due Luigi, Baccolo non volle
mai parlare, ma ne tornò trasformato da professore ad artista.
Luigi Baccolo finì la sua esistenza umana e letteraria, a
Cuneo, l’8 Dicembre 1992, sempre curato amorevolmente come “Gino”.
Di lui si ricordò
Luigi Pirandello che incontrandomi una volta a teatro mi disse: “Ma il Vostro
Baccolo ce l’ha o non ce l’ha la corda pazza?”.
Ed io: “Maestro, così è, se vi pare.”
[1] Sullo
schema del Decamerone, ecco quindi il “Decameroncino del CT "Enea":
una serie di racconti boccacceschi [il termine è davvero d'uopo] che vedono per
protagonisti giovani Ufficiali alle prese con situazioni amorose tragicomiche a
tutte le latitudini e longitudini, dall'India ai Caraibi passando per la Turchia.
Guido Milanese, romanziere di lungo corso, premette nell'introduzione che della
"morale", come intesa nel 1926, si fa proprio un baffo; e ne dà piena
prova in questo godibilissimo volumetto nel quale abbondano situazioni scabrose
sempre descritte con vena d'ironia e levità di linguaggio. Consigliato, anche alle Signore. Per darvene un esempio
citerò un lettore che sul “Decameroncino” scrive: A me è piaciuto e debbo dire
che per l'anno di stampa (1926) è abbastanza "temerario" pur non
essendo volgare. A pag.69 c'è un gustoso episodio che così riassumo: Un Uff.le
di una nostra nave da guerra, durante una breve sosta in un piccolo porto
Spagnolo, volendo "smaltire" i bollenti spiriti, ma non conoscendo i
luoghi, pensò bene di rivolgersi nientemeno che al Parroco di detta località
con tali parole: "Reverendo, sono uno straniero di passaggio che sta
commettendo un orribile peccato!" "Quale, figliuolo mio?"
"Desidero ardentemente la donna d'altri. La prego di liberarmene,
indicandomi dove potrei trovare una donna di nessuno. E' un suo dovere!"
Il buon prete rise e lo liberò dal peccato indicando con precisione al nostro
compatriota certe case... in cambio di un'offerta per i poveri della
parrocchia.
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