giovedì 23 giugno 2016

Gustav Mahler e il Monviso



    Gustav Mahler mi aveva scritto ringraziandomi per le condoglianze che gli avevo porto dopo la morte a soli sette anni della sua primogenita Maria Anna.

Il fatto era successo a Maiernigg, sul lago Wörthersee nell’estate del 1907 e mi diceva che non sarebbe più voluto andarci: troppi ricordi…

Cercava un altro posto “…in montagna, ma mi raccomando che ci sia il posto per la casetta”.

Questa delle Komponierthäuschen (casette per comporre) di Mahler è una bella storia. Quando d’estate finalmente poteva allontanarsi da Vienna portava la bella moglie Alma e le due figlie in casa d’affitto od in albergo, ma sempre in un luogo ameno della felix Austria. Lui c’era, ma si appartava non lontano, in una casetta di legno che si faceva costruire appositamente: dieci metri quadrati con il pianoforte e una pila di carta da musica. Li voleva essere lasciato tranquillo dagli estranei ed anche dalla famiglia e nel grembo dei ricordi infantili e dei suoni della natura componeva le sue sinfonie.

     Veramente anche Mozart volle una sua casetta: la si può ancora vedere dalle finestre del Mozarteum di Salisburgo. Chi non ha in fondo al cuore una casetta dei suoi ricordi più belli?

Allora pensai di offrirgliene una in una radura nei boschi delle nostre montagne.

E finalmente venne il grande giorno. Mi aveva detto “Arriverò l’ultima settimana di luglio”, ma non mi aveva detto il giorno per cui quando suonò il campanello ed andai ad aprire la porta non credevo ai miei occhi nel vedermi davanti Gustav Mahler. Era proprio lui, come lo descriveva Bruno Walter: “esile, basso, dalla fronte alta e dritta, lunghi capelli neri ed occhi che penetrano a fondo, dietro gli occhiali”.

“Benvenuto. Venga avanti Maestro” -non sapevo cosa dire- ma Lui mi tolse subito dall’imbarazzo:

  “Ma sa amico mio che arrivare a Cuneo è proprio complicato. Sono partito l’altro ieri da Vienna dopo aver diretto il Tristano nell’ultima replica della stagione della Hofoper, presente l’Imperatore. Ho fatto una tappa a Milano, dove ieri sera ho diretto un concerto alla Scala, e poi ho viaggiato tutto oggi per arrivare da Lei e sono le sei di sera”.

“Lo so, lo so” dico io, “siamo ai confini dell’impero come dice un mio amico, impero soprattutto culturale, ma si troverà bene e la casetta è pronta. Intanto andiamo all’albergo”.

     Il giorno dopo il Maestro era già tutto eccitato: in quel piccolo corpo c’era un’energia incredibile, quella che gli avevo visto spendere senza limiti sui podi direttoriali dei teatri di mezza Europa. Non per nulla le sue esecuzioni sia operistiche che sinfoniche erano considerate innovative e inarrivabili.

     Partimmo per la Valle Maira e ci fermammo a Stroppo. “Venga Maestro voglio farle vedere una cosa” e lo portai dinanzi al monumento di Alessandro Riberi, insigne clinico e fondatore della Sanità militare. Mahler lesse:

Quì

 dond'ei partì povero ed ignorato 

alla conquista della fortuna e della gloria

il nome suo insegni ai valligiani

che l'onesta povertà è l'assillo migliore alle opere

dell'ingegno e della mano

e desti in essi la fede

che questa ignude roccie

sanno esser madre di ingegni

 che hanno volo d'aquila”

“Anch’io sono nato povero il 7 luglio 1860 a Kalischt un villaggio della Boemia (allora nell’Impero austro-ungarico)” commentò Mahler “ed effettivamente mi sono dato da fare per emergere. Ho persino dovuto da ebreo diventare cattolico per poter ottenere il posto di general director del Teatro Imperiale e di Corte di Vienna. Ho le mie buone soddisfazioni a Vienna, invece come compositore, per ora, volo basso, ma il mio tempo verrà”. 

Ed andammo ad Elva. Giunti al colle di Sampeyre, il Monviso ci apparve dinanzi maestoso e così vicino che sembrava di poterlo toccare allungando il braccio.

Mahler era rimasto folgorato e incominciò a declamare i versi di Klopstock su cui aveva scritto il finale della sua seconda sinfonia “Resurrezione”:

“Risorgerai, oh sì, risorgerai o mia polvere mortale, dopo un breve riposo… credimi, cuore mio, credimi nulla per te è perduto! …non sei nato invano, non hai vissuto e sofferto invano! Risorgerai, sì risorgerai”.  

L’uomo non si è mai arreso alla morte e per proprio conforto ha trovato due soluzioni. O credere in un aldilà dove ottenere quell’eterna felicità che non è possibile ottenere in terra, o credere di poter tornare dopo la partenza, magari sotto altre spoglie, ma comunque, ed ad ogni costo, risorgere.

Mahler stette ad Elva quindici giorni e lo lasciai solo con il pianoforte nella casetta che gli avevo procurato e tanta pace, e sole e verde tutt’intorno. “Vita fugax…” mi ripeté più volte quando gli raccomandavo di riposarsi “…con quel cuore malato”.
Quale musica avrà composto non me lo ha detto salutandomi con la stretta di mano che ho avuto da Sua figlia Anna, quando sono andata a trovarla a Spoleto. Ma io la Sua musica l’ho conosciuta tutta, eseguita e registrata dai suoi grandi interpreti: Bruno Walter, Leonard Bernstein, Claudio Abbado. Ho sentito lì dentro la verità di quanto lui scriveva: “Le mie sinfonie trattano a fondo il contenuto di tutta la mia vita: dentro vi ho messo esperienze e dolori, verità e fantasia…”. Nella verità e fantasia della sua musica mi ritrovo a fianco di Gustav Mahler …risorto. 
 

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